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mercoledì 25 giugno 2025

La Crisi Climatica Sparisce dai Media Italiani

Quando l'Emergenza Diventa Invisibile
Nel pieno dell'emergenza climatica globale, con temperature record che si susseguono e fenomeni estremi sempre più frequenti, accade l'impensabile: i media italiani parlano sempre meno di crisi climatica. I dati del 2024 raccontano una storia preoccupante di progressivo silenzio informativo proprio quando l'urgenza di comunicare sui cambiamenti climatici non è mai stata così alta.



Il Crollo Vertiginoso della Copertura Mediatica
Secondo l'ultimo rapporto dell'Osservatorio di Pavia realizzato per Greenpeace Italia, nel 2024 la copertura mediatica della crisi climatica ha subito un tracollo senza precedenti. Le notizie dedicate al clima hanno registrato un calo del 47% sui quotidiani (con una media di appena un articolo ogni due giorni) e del 45% sui telegiornali (in media un solo servizio ogni dieci giorni) rispetto al 2023.
Il quadro è ancora più drammatico se si considera l'evoluzione temporale: nell'ultima parte dell'anno il numero di articoli pubblicati dai principali quotidiani italiani in cui si parla esplicitamente di crisi climatica è diminuito rispetto al quadrimestre precedente, attestandosi a una media di appena 2,5 articoli al giorno. Una cifra irrisoria per una crisi che secondo gli scienziati rappresenta la sfida più grande dell'umanità.

Una Copertura Inadeguata e Deresponsabilizzata
La questione non è solo quantitativa, ma anche qualitativa. Nonostante un'estate flagellata dagli eventi estremi, sui quotidiani e in televisione la crisi climatica continua a trovare poco spazio e viene raccontata dai media italiani come se non avesse responsabili. Questa modalità narrativa contribuisce a deresponsabilizzare sia i decisori politici che i settori economici maggiormente coinvolti nelle emissioni di gas serra.

L'Osservatorio di Pavia ha rilevato che sono diminuite
 
significativamente le notizie focalizzate sul cambiamento climatico mentre, in proporzione, sono aumentate quelle che lo trattano a margine di altre questioni o si limitano a citarla. Una tendenza che confina la crisi climatica in un ruolo marginale nel dibattito pubblico, proprio quando dovrebbe essere al centro dell'agenda politica e mediatica.

Il Paradosso della Pubblicità Inquinante
Mentre l'informazione climatica diminuisce, cresce paradossalmente la presenza pubblicitaria delle aziende più inquinanti. Si è assistito a un aumento delle pubblicità delle aziende inquinanti sui quotidiani (1.284, contro le 1.229 del 2023). Questo dato evidenzia una contraddizione stridente: mentre i media riducono lo spazio dedicato all'informazione sulla crisi climatica, aumentano gli investimenti pubblicitari di settori che contribuiscono maggiormente alle emissioni.

Le Conseguenze del Silenzio Mediatico
Il progressivo silenziamento mediatico della crisi climatica ha conseguenze concrete sulla percezione pubblica dell'urgenza climatica. Quello che emerge è un dibattito pubblico più focalizzato sui costi economici della transizione che sulla effettiva urgenza di affrontare il riscaldamento globale. Questa distorsione comunicativa rischia di alimentare scetticismo e ritardi nelle politiche necessarie per contrastare i cambiamenti climatici.
Negli anni passati, la copertura mediatica aveva già mostrato segni di inadeguatezza. Nei programmi televisivi di approfondimento si è dato spazio alla crisi climatica in 116 delle 450 puntate monitorate, pari al 26% del totale, in leggero calo rispetto al quadrimestre precedente. Un trend discendente che trova nel 2024 la sua manifestazione più preoccupante.

Un Monitoraggio Necessario
Il lavoro dell'Osservatorio di Pavia per Greenpeace Italia rappresenta un presidio fondamentale per tenere alta l'attenzione sulla qualità dell'informazione climatica. Il monitoraggio esamina come la crisi climatica viene raccontata sui cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa) e sulle edizioni serali dei telegiornali delle reti Rai, Mediaset e La7.
Questa analisi sistematica rivela come l'informazione climatica sia sempre più confinata in spazi marginali, spesso trattata come una questione settoriale piuttosto che come l'emergenza trasversale che effettivamente rappresenta. Il silenzio mediatico sulla crisi climatica non è solo un problema giornalistico, ma una questione democratica che riguarda il diritto dei cittadini a essere informati sulle sfide che definiranno il futuro del pianeta.
La sfida per il mondo dell'informazione è tornare a fare della crisi climatica una priorità editoriale, restituendo a questa emergenza lo spazio e l'attenzione che merita nell'agenda pubblica italiana.



Fonti principali:

Greenpeace Italia e Osservatorio di Pavia - Rapporto annuale su media e clima 2024

Osservatorio di Pavia - Monitoraggio copertura mediatica crisi climatica

Facta - Analisi 2024 su media italiani e crisi climatica

sabato 24 maggio 2025

Aiuole spontanee e biodiversità urbana: un cambiamento necessario che parte da Foggia

In tutta Italia si sta sviluppando un dibattito sempre più vivo e consapevole sul ruolo del verde urbano. Non si tratta più soltanto di alberi ornamentali o aiuole geometriche, ma di una visione nuova che considera anche la vegetazione spontanea come un elemento essenziale dell’ecosistema cittadino. In questo contesto, riteniamo giusto appoggiare con convinzione la proposta avanzata dal WWF Italia – sezione di Foggia, che ha avuto il coraggio di proporre un cambiamento culturale profondo: rivalutare le cosiddette “erbacce” come alleate della natura urbana.



Secondo il WWF Foggia, queste piante spontanee non sono sinonimo di abbandono o incuria, ma una ricchezza ecologica gratuita, capace di trasformare angoli anonimi in piccoli paradisi della biodiversità. Si tratta di vegetazione che nasce e cresce naturalmente, offrendo rifugio a insetti impollinatori, migliorando la qualità dell’aria, e contribuendo al benessere complessivo dell’ambiente urbano. Sono microcosmi vitali che possiamo accogliere senza interventi invasivi, riducendo allo stesso tempo i costi di manutenzione per le amministrazioni pubbliche.

È fondamentale però chiarire un punto centrale: lasciare crescere la vegetazione spontanea non significa in alcun modo rinunciare al decoro urbano o alla sicurezza. Al contrario, questa visione promuove una gestione attenta, rispettosa e professionale, in cui il verde viene curato con intelligenza e nei tempi giusti. Soprattutto in estate, è imprescindibile intervenire con operazioni di sfalcio mirate, per evitare l’accumulo di materiale secco che potrebbe diventare pericoloso in caso di caldo estremo o siccità. La prevenzione degli incendi è parte integrante di una buona gestione, e non è mai messa in discussione da chi sostiene la biodiversità urbana.

Il disordine non è nella natura, ma negli occhi di chi non sa leggerla. Una città davvero ordinata è quella che sa armonizzare l’intervento umano con i ritmi e le forme del mondo naturale. Le piante spontanee, se lasciate crescere in modo controllato e accompagnate da una corretta manutenzione, offrono un decoro nuovo, vivo, dinamico. È una bellezza che parla di resilienza, equilibrio e sostenibilità. Non si tratta di lasciar andare tutto al caso, ma di sapere quando osservare e quando agire.

I detrattori di questa visione spesso invocano la necessità di un’estetica pulita e “ordinata”, interpretando la presenza di vegetazione libera come un segno di trascuratezza. Ma è proprio questa prospettiva che il WWF intende mettere in discussione: il verde urbano non va visto come una sfida da domare, ma come una risorsa da valorizzare. E per farlo servono amministratori formati, cittadini consapevoli e tecnici competenti. Una città che sa curare il proprio verde è una città che guarda al futuro con responsabilità.

Da Foggia parte un segnale forte che merita attenzione e imitazione. In molte altre città italiane questa nuova sensibilità sta emergendo, trasformando le aiuole in piccoli laboratori di coesistenza tra uomo e natura. Basta poco: osservare, conoscere, rispettare. Anche un’aiuola dimenticata può diventare simbolo di equilibrio urbano, se si smette di vederla come un errore e la si accoglie come un dono.

La natura urbana non è un ostacolo da eliminare, ma una possibilità da coltivare con cura. Sta a noi scegliere se continuare a combatterla o iniziare a viverla.

mercoledì 23 aprile 2025

Navigare verso un futuro più verde: Il progetto WET

In un'epoca in cui la sostenibilità è una delle sfide più urgenti del nostro tempo, ogni settore è chiamato a fare la propria parte per ridurre l'impatto ambientale. Anche quello spaziale. È proprio in questo contesto che nasce il progetto WET – Water-based Electric Thrusters, un’iniziativa innovativa finanziata dal programma Horizon Europe MSCA Staff Exchange, con l’obiettivo di rivoluzionare il modo in cui muoviamo i satelliti nello spazio. E lo fa in modo sorprendente: usando l’acqua.




Un propellente che conosciamo bene: l’acqua
Tradizionalmente, i propulsori dei satelliti utilizzano combustibili chimici o gas rari come lo xeno. Questi materiali, oltre ad essere costosi e difficili da reperire, comportano un notevole impatto ambientale sia nella fase di produzione che di smaltimento. Il progetto WET propone una soluzione tanto semplice quanto geniale: utilizzare l'acqua come propellente nei motori elettrici spaziali.

Sì, proprio l’acqua. Grazie a un processo che la trasforma in plasma (uno stato della materia simile a un gas ma composto da particelle cariche), è possibile generare una spinta sufficiente per manovrare piccoli satelliti in orbita. Questa tecnologia, chiamata propulsione elettrica a base d'acqua, è più pulita, più sicura e molto più sostenibile.

Perché è importante?

L’uso di acqua nei motori spaziali non è solo una curiosità scientifica, ma una scelta strategica per l’ambiente. Ecco alcuni motivi per cui questo progetto è importante:
  • Zero emissioni tossiche: L'acqua è non tossica, non esplosiva e facilmente reperibile. Questo riduce i rischi durante la produzione, il lancio e lo smaltimento.
  • Riduzione dell’impatto ambientale: Eliminando l’uso di materiali inquinanti o pericolosi, si abbassano le emissioni nocive legate all’industria spaziale, un settore in rapida crescita.
  • Riciclabilità nello spazio: In futuro, l’acqua potrebbe essere raccolta direttamente da fonti extraterrestri come la Luna o gli asteroidi, rendendo i viaggi spaziali ancora più autosufficienti e sostenibili.
  • Accessibilità per tutti: L’abbattimento dei costi legati ai propellenti rende la tecnologia spaziale più accessibile, favorendo missioni scientifiche, ambientali e di monitoraggio del clima da parte di piccoli enti e startup green.

Un progetto europeo con uno sguardo globale
Il progetto WET è sostenuto dal prestigioso programma Marie Skłodowska-Curie Actions (MSCA) dell’Horizon Europe, dedicato alla mobilità internazionale e allo scambio di conoscenze tra ricercatori. Questo significa che esperti da tutta Europa (e non solo) stanno lavorando insieme per sviluppare, testare e ottimizzare questi motori a base d’acqua.
È un esempio concreto di come la cooperazione scientifica internazionale possa generare innovazione con un impatto positivo diretto sul nostro pianeta.

Spazio e ambiente: un connubio possibile
Pensare che l’esplorazione spaziale possa diventare un alleato dell’ambiente sembra quasi un paradosso, ma progetti come WET dimostrano che è non solo possibile, ma necessario. In un momento storico in cui anche lo spazio è diventato terreno di riflessione ecologica (si pensi all’inquinamento orbitale o all’energia solare spaziale), tecnologie pulite e sostenibili sono la chiave per una crescita responsabile.

Il progetto WET – Water-based Electric Thrusters rappresenta un passo avanti verso un’industria spaziale più pulita, efficiente e rispettosa dell’ambiente. Utilizzare l’acqua per muoversi nello spazio non è solo un traguardo tecnico, ma anche un messaggio forte: la tecnologia può e deve essere al servizio della Terra, anche quando guarda alle stelle.