giovedì 31 ottobre 2019

Zucche di Halloween e spreco alimentare

Cosa c’è di più spaventoso di streghe, fantasmi e demoni a Halloween? 18.000 tonnellate di zucche ancora commestibili che finiscono nell'immondizia ogni anno.





La moda di intagliare le zucche a Halloween è ancora poco diffusa qui in Italia, viceversa, nei paesi anglosassoni è diventata quasi una mania. Non c’è casa o famiglia che non ha la sua zucca decorata e intagliata per il primo novembre.

Questa simpatica tradizione in realtà cela un grave problema di spreco alimentare con conseguente aggravio ambientale. Il problema nasce dal fatto che la stragrande maggioranza delle persone che intaglia il famoso ortaggio arancione, per creare le facce tipiche di halloween, butta la polpa che estrae quando svuota la zucca, infatti, solo il 33% degli “intagliatori” poi recupera e mangia la polpa interna.



L’associazione ambientalista Hubbub ha calcolato che ogni anno nella sola Gran Bretagna si butta la polpa di 8 milioni di zucche equivalente a circa 18 mila tonnellate di cibo (pari a 1500 autobus a due piani) che se cucinate potrebbero sfornare 360 milioni di porzioni di torte di zucca.

Negli Stati Uniti la situazione è addirittura peggiore, infatti, il dipartimento dell’agricoltura stima che ogni anno vengono venduti e non mangiati l’equivalente di 1,90 milioni di dollari in zucche.

Questi numeri sono impressionanti e fanno capire l’enorme portata del problema. Oltre all'evidente spreco alimentare c’è anche un oggettivo danno ambientale: l’enorme quantità di rifiuti da smaltire, l’acqua usata per irrigare i campi di zucca senza considerare l’inquinamento prodotto per trasportare l’ortaggio.

Si tratta di centinaia di ettari di terreno coltivati per poi essere buttati via, spreco che può essere facilmente evitato consumando la polpa invece di buttarla. Per questo motivo l’Hubbub organizza ogni anno la PUMPKINRESCUE (recupero delle zucche) riscuotendo sempre maggiore successo.

Iniziata a Oxford nel 2014, l’anno scorso la manifestazione per evitare lo spreco della zucca si è svolta attraverso numerose iniziative in 280 città sparse per il globo. Lo scopo principale è quello di far conoscere i numeri del problema e di convincere la gente a consumare la polpa che estrae, anche diffondendo nuove e succulenti ricette (zuppe, torte, vellutate e al forno).

Zucca al forno

Il motto delle varie iniziative è: “Dopo Halloween, non buttate le vostre zucche, ma mangiatele o riutilizzatele”. Nei vari eventi di pumpkinrescue si insegna, anche, a come compostare in modo corretto l’involucro vuoto quando non serve più a decorare le case.



Link esterni:


  • HUBBUB: https://www.hubbub.org.uk/

  • FONTE: AMBIENTE-BLOG

    sabato 26 ottobre 2019

    Dal Messico la pelle ecologica realizzata dai fichi d'india


    Realizzata dalle pale dei fichi d'india la nuova pelle ecologica potrebbe rivoluzionare il mercato dell'abbigliamento





    Da qualche tempo si cerca un’alternativa completamente ecologica alla pelle, l’unica soluzione, ovviamente, che non sia né di origine animale e né di plastica è la pelle vegetale. Dopo il non ottimo risultato ottenuto dall'ananas, un’azienda italiana ha fatto ottimi progressi ottenendo un tessuto dalle vinacce. Ma la vera rivoluzione è arrivata dal Messico dove una coppia di giovani imprenditori di Guadalajara, Adrián López e Marte Cazárez, è riuscita ha realizzare un tessuto vegetale molto simile alla pelle sia per consistenza sia per struttura usando le pale dei fichi d’india. 



    Adrián López e Marte Cazárez


    López e Cazárez hanno sperimentato vari vegetali locali, partendo dalle bucce delle mele per arrivare alla fine ai fichi d’india perché notarono che l’industria cosmetica faceva largo uso di questa pianta e scherzando si sono detti: “Se il fico d’India è buono per la pelle, perché non usarlo per creare la pelle?”

    Iniziò subito la sperimentazione e dopo due anni e alcuni fallimenti i due giovani imprenditori sono riusciti ad ottenere la prima vera alternativa vegetale alla pelle completamente eco sostenibile ed etica e al tempo stesso resistente e traspirante.

    Il procedimento per realizzare la pelle è relativamente semplice: le pale dei fichi d’india vengono prima pulite e dopo aver tolto tutte le spine vengono tritate fino a farle diventare polvere. Questo composto viene messo sopra ad un foglio di cotone e, attraverso un procedimento particolare, unito ad esso.

    Usare i fichi d’india è stata una scelta vincente anche per altri motivi, come spiega Adrián López in un’intervista a un giornale messicano: “Il Messico ha il potenziale per innovare e il cactus è il simbolo del paese. Molte persone ci hanno detto che eravamo pazzi! Perfino i nostri ingegneri ci hanno detto che non si poteva fare. Abbiamo detto come no? Siamo in Messico, siamo messicani, quale materia prima abbonda qui? Il cactus qui cresce da solo, senza bisogno di grandi quantità d’acqua. È lì che abbiamo iniziato a testare il fico d’india e, dopo diversi test, siamo stati in grado di realizzare un materiale resistente “ in questo modo quindi, oltre a soddisfare i sempre più numerosi consumatori attenti alle problematiche ambientali, porterebbe anche benefici ai produttori locali che coltivano fichi d’India.

    La nuova alternativa vegetale alla pelle, che ha un prezzo di circa 25 dollari al metro, potrebbe dunque sostituire quelle animali e sintetiche, per questo motivo verrà presentata alla manifestazione milanese del settore: Lineapelle come prodotto estremamente innovativo. A tal proposito ha dichiarato Marte Cazárez “un abitino, una borsa, una cintura, un cinturino per orologio, una piccola libreria, una poltrona. Qualunque pelle può essere sostituita da questo tessuto; la pelle animale o la pelle sintetica possono essere sostituite da quelle vegetali, sostenendo l’ecosistema”.


    FONTE: AMBIENTE-BLOG

    giovedì 17 ottobre 2019

    ECOSIA: come funziona il motore che aiuta l’ambiente



    ECOSIA il motore di ricerca nato per salvare le foreste pluviali devolve l’80% dei suoi incassi pubblicitari per la riforestazione. 



    Oltre 71 milioni di alberi piantati, questa è il grande risultato ottenuto da ECOSIA il motore di ricerca fondato nel dicembre del 2019 da Christian Kroll.



    Contatore degli alberi piantati aggiornato al 17 ottobre 2019


    Il progetto è nato quando Kroll si trasferì in Nepal, lì decise di creare un business che potesse avere un forte impatto anche nel sociale, così fondò Xabell, un motore di ricerca che finanziava le ONG locali, in seguito si spostò in Sudamerica dove rimase molto colpito dal problema della deforestazione.

    Nacque così l’idea di un motore di ricerca per salvare gli alberi, all’inizio ci fu “Forestle” con il suo programma “adotta un acro” che in collaborazione con The nature conservancy è riuscito a salvare oltre 9 milioni di metri quadrati di foresta.

    Dall’esperienza di Xabell e di Forestle, in concomitanza della conferenza ONU sui cambiamenti climatici di Copenhagen, è nata ECOSIA.

    Oggi Il motore di ricerca supporta oltre 20 progetti di riforestazione in 15 Paesi diversi: Perù, Brasile, Madagascar, Nicaragua, Haiti, Colombia, Spagna, Marocco, Senegal, Burkina Faso, Ghana, Etiopia, Uganda, Kenya, Tanzania e Indonesia, e in ognuno di questi è collegato con dei partner locali che aiutano a monitorare la cura degli alberi. Inoltre visita regolarmente i siti e utilizza immagini satellitari per controllare le aree coinvolte. 






    Gli utenti di ECOSIA sono circa 8 milioni nel mondo, negli ultimi mesi c’è stata una impennata di internetnauti che sono passati a questo motore dopo le tragiche notizie che giungevano dall’Amazzonia. Nella sola giornata di mercoledì 22 agosto, il numero di installazioni di ECOSIA è aumentato del 1.150 per cento, come ha dichiarato l’azienda a Business Insider: 250 mila download in 24 ore a fronte di una media quotidiana che normalmente era di circa 20 mila.

    ECOSIA funziona come qualunque altro motore di ricerca. I risultati derivano dagli algoritmi di Bing, il motore di ricerca di Microsoft con cui la compagnia ha stretto un accordo, mentre gli utili provengono dagli sponsor: ogni volta che un utente clicca su un annuncio sponsorizzato hanno un guadagno, l’80% dei profitti, che corrispondono all’incirca al 47% del totale, viene investito nella piantumazione degli alberi.

    L’azienda ogni mese rende pubblici gli aggiornamenti dei progetti e vari rapporti finanziari dove vengono dettagliatamente spiegati tutti gli investimenti fatti con i loro guadagni.

    Kroll però non si è fermato solo alla piantumazione degli alberi perché fin da subito ha creato un motore ecologico al 100%, infatti, ha impiantato un parco fotovoltaico per produrre l’energia elettrica consumata dai suoi server, inoltre ha da poco impiantato un secondo parco per compensare anche l’energia elettrica consumata dai server della Microsoft che, viceversa, non sono 100% CO2 free.

    Anche per quanto riguarda la privacy ECOSIA adotta standard molto rigorosi: non utilizza, a differenza di Google Analytics, strumenti di tracciamento di terze parti, rende anonime tutte le ricerche entro una settimana e non crea profili degli utenti in base ai loro click. 


    Nel 2014 ha ricevuto la certificazione B corporation che viene rilasciata dall'ente indipendente e no profit "B Labs" alle aziende con elevati standard di sostenibilità ambientale e sociale. 


    ECOSIA ha ancora molti progetti per il futuro. Uno di questi è Ecosia-Travel per viaggiare in modo ecologico e confrontare il consumo di CO2 tra le varie opzioni offerte. 




    Link esterni:



  • ECOSIA https://www.ecosia.org/
  • Aggiornamenti dei progetti https://blog.ecosia.org/tag/projects/
  • Rapporti finanziari https://blog.ecosia.org/ecosia-financial-reports-tree-planting-receipts/
  • Sito ufficiale B Labs https://bcorporation.net/
  • Ecosia-Travel https://blog.ecosia.org/ecosia-travel-feature-book-hotel-plant-trees/




  • FONTE: AMBIENTE-BLOG

    sabato 5 ottobre 2019

    Il “rastrello” che pulirà i mari dalla plastica funziona.

    L’organizzazione olandese senza scopo di lucro “Ocean Cleanup” tramite il suo fondatore ha annunciato il 2 ottobre con un tweet che System001/B, la loro macchina per pulire gli oceani, funziona.




    L’enorme quantità di plastica che ogni anno si riversa negli oceani ha generato cinque aree giganti di rifiuti galleggianti. Una delle più grandi si trova nell'oceano pacifico tra la California e le Hawaii, si estende per oltre 700 mila chilometri quadrati (altre stime parlano di 7/8 milioni di chilometri quadrati) prende il nome di Pacific Garbage Patch ed è l’obiettivo principale di Boyan Slat il giovane inventore olandese che nel 2012 a solo 18 anni annunciò di voler ripulire il mare.


    Tutto inizio quando a 16 anni in una immersione Slat vide più plastica che pesci e allora decise che si doveva fare qualcosa per eliminare i rifiuti dall’acqua. Nel 2012 fondò l’ONG Ocean Cleanup raccogliendo nel corso degli anni circa 32 milioni di euro per la sua idea.

    Dopo vari progetti nel 2018 finalmente a San Francisco Slat varò il suo primo prototipo che, purtroppo, si rivelò un fallimento. L’idea era geniale: il macchinario era composto da un tubolare a forma di semicerchio che trasportato dalla corrente, quindi senza consumare carburante, raccoglieva attraverso delle reti tutti i rifiuti che trovava nel suo cammino. Il prototipo si ruppe quasi subito, inoltre il suo movimento, determinato dalle correnti marine, era solidale con quello dei rifiuti stessi e non riusciva a trattenerli.



    Dopo vari studi gli ingegneri della Ocean Cleanup a settembre di quest’anno hanno varato un nuovo prototipo il System 001/B dotato di un ancora galleggiante collegata ad un paracadute che rallentando il tubolare gli permette di raccogliere i rifiuti.

    L’operazione è andata meglio del previsto come Slat stesso ha annunciato. Infatti, sono riusciti a recuperare una grossa quantità di microplastiche, maggiore delle loro attese. Tutti i rifiuti raccolti sono in seguito trasportati con una nave in un centro di riciclaggio.

    Ora Slat insieme agli ingegneri della Ocean Cleanup sta progettando un nuovo prototipo il System 002, più grande e in grado di lavorare per lunghi periodi prima di essere svuotato dalle navi appoggio.

    Secondo il giovane olandese entro sette anni riusciranno a eliminare oltre la metà del Pacific Garbage Patch ed entro il 2050 tutta la plastica dagli oceani. Alcuni scienziati, però, considerano queste stime eccessivamente ottimistiche. In ogni caso è evidente, come ha detto lo stesso Slat, che non è più impossibile ipotizzare un mare completamente ripulito.


    FONTE: AMBIENTE-BLOG